LAGRANDISSIMA

RISCOPERTA APPROCCIO VALORE

LocalMag vol. 8 racconta dell’Osteria Lagrandissima, un locale aperto a giugno scorso nel Nord-Est di Milano.

Lagrandissima ci ha offerto diversi spunti, a partire dalla filosofia che propone per i suoi piatti e vini, fino alla storia di tre giovani che decidono di aprire e gestire un locale insieme. A dare una forte identità a Lagrandissima vi è inoltre una grande passione che punta alla ricerca e alla valorizzazione del territorio italiano, delle sue tradizioni e dei suoi prodotti. Abbiamo quindi deciso di fare una chiaccherata insieme per poter approfondire tutti questi aspetti.

Il risultato è l’intervista che trovate qui sotto.

Alle nostre domande risponde Davide Esposito che, insieme ad Antonio Crescente e Gianmaria Fasce, è socio dell’Osteria.

Ciao ragazzi, com’è nata l’idea di aprire Lagrandissima? Come vi siete conosciuti e perché avete deciso di iniziare questo percorso insieme?

Noi siamo tre gastronomi, nel senso che abbiamo frequentato tutti e tre l’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo. Gianmaria ed io eravamo in classe insieme e abbiamo fatto insieme la triennale, mentre Antonio aveva fatto una magistrale sul vino prima di noi. Gianmaria ha fatto anche un anno in cucina, sempre in università. Lui ha poi ha deciso di occuparsi della sala. Io invece sono rimasto in cucina. 

Sostanzialmente l’idea non ci è venuta ma è nata spontaneamente durante il nostro percorso. All’inizio, eravamo solo Antonio ed io: l’anno scorso, a gennaio-febbraio 2022, ho iniziato a lavorare per lui al PalinuroBar, un altro locale di Milano. Là io gestivo la cucina e ad un certo punto abbiamo deciso di aprire qualcosa insieme, anche se in un primo momento non sapevamo ancora cosa nel particolare. Così, ci siamo messi a girare per la città per farci venire idee e per vedere quali locali avremmo potuto prendere. Alla fine abbiamo trovato il posto dove siamo ora, in una zona un po’ fuori dal centro di Milano e dove mancava un po’ di tutto. Siamo venuti a vedere il locale, ci è piaciuto e abbiamo deciso di prenderlo. Ragionando sulla zona, su quello di cui aveva bisogno e anche sulla nostra idea di ristorazione,

che, secondo noi, mancava su Milano, abbiamo deciso di creare un locale con una cucina semplice e, però, con prodotti di alta qualità, in modo da dare una nostra impronta ben definita. Una volta che io ed Antonio avevamo trovato il posto e avevamo cominciato a strutturare la cosa, ci siamo resi conto che il progetto era troppo impegnativo per solo due persone. Ci serviva una terza mano. Quindi abbiamo coinvolto anche Gianmaria, che subito ha sposato il progetto in toto.

Il vino fin da subito è stato un aspetto trainante nel progetto, un po’ per la forma mentis di Antonio, un po’ perché è un aspetto che risalta molto in questo genere di locale ed anche perché, per via della nostra rete che veniva dalla facoltà di Scienze Gastronomiche, avevamo contatti stretti con una serie di persone legate a quel mondo, che conoscono noi e che conoscono il nostro metodo di lavoro. 

Una volta che la decisione era presa e la direzione chiarita, siamo stati aiutati da due soci di Antonio al PalinuroBar: Davide Coppo, che è un editore, e Fabrizio Vatieri, che è un architetto e fotografo. Con loro abbiamo definito la parte di branding e del design del locale, strutturando l’idea dell’Osteria Lagrandissima, l’osteria “quasi in campagna”. L’abbiamo chiamata così un po’ per richiamare la nostra posizione, non esattamente in centro ma neanche fuori dalla città, e un po’ per 

dare uno storytelling ai nostri piatti, che prendono molto dalla cucina di campagna. In cucina infatti seguiamo le stagioni e adattiamo le nostre proposte in base a quello, facendo in qualche modo girare i prodotti ed i territori da cui provengono a seconda dei periodi: in inverno prendiamo molto dalla Toscana, dal Veneto e dal Piemonte; in estate c’è un po’ più di Sud nei nostri piatti. I prodotti che usiamo sono freschi e i piatti che cuciniamo sono sempre molto corposi e nutrienti. Ad esempio, è venuta a lavorare con noi una nostra amica, Francesca Viterbo, ed insieme a lei, che è molto brava, abbiamo strutturato una proposta di pasta fresca che in pochi hanno qui a Milano. Non solo, anche lì cerchiamo di fare un prodotto sincero e genuino, e usiamo quindi l’uovo intero e farine poco raffinate. Il risultato è una pasta molto ricca e nutriente, molto diversa da quella della maggior parte dei ristoranti e anche dai canoni della scuola classica.

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Perché aprire Lagrandissima proprio qui e perché la scelta di essere osteria?

Abbiamo scelto di essere osteria perché siamo un posto di vino dove si accompagna il bere in maniera molto semplice. L’esigenza di tanti che vivono nella grande città è di fuggire dalla città, di stare in campagna. Noi vogliamo dare la possibilità alle persone di vivere la campagna e le sue tradizioni senza doversi fare 40 o 50 km per andare nelle Langhe o in Veneto per il pranzo della domenica. 

Di sicuro, poi, la scuola da cui veniamo insegna a vedere il cibo in una maniera un po’ di differente e, nel momento in cui ci inseriamo nel mondo del lavoro, ci rendiamo conto che questa prospettiva nella maggior parte dei casi non viene molto rispettata e, quindi, ci viene questa voglia di dare la nostra impronta che in molti casi ci porta ad aprire nostri locali. È un po’ come se la nostra scuola ci insegnasse a cambiare le regole di come viene servito e proposto il cibo alla comunità. Come noi, alcuni lo fanno con la ristorazione ma molti lo fanno in altri modi, ad esempio con l’attivismo sul cibo o magari lavorando nelle grandi aziende che hanno bisogno di avere nel minor tempo possibile una transizione verso un determinato modo di lavorare.

Nel nostro caso, l’impronta di cui parlavo prima si rivede nel cibo e nel vino che proponiamo. A tal proposito, noi chiamiamo “vero” il vino che abbiamo qui.

In molti altri casi viene usato l’aggettivo “naturale”, che non è un termine propriamente corretto per via del fatto che il vino è comunque un artefatto dell’uomo, non può essere totalmente naturale. I vini che noi proponiamo sono diversi da quelli convenzionali, sono effettivamente veri perché rispecchiano il luogo, il produttore e l’uva. Per noi ciò vuol dire proporre e mettere sul tavolo una vera e propria storia. Lo stesso vale per il cibo. Questo è il modo di pensare che ci deriva dall’Università che abbiamo frequentato.

preparazione

E questo vuol dire anche evitare di abbindolare la clientela con tante nozioni che molto spesso rischiano di diventare specchietti per le allodole per far spendere di più. Noi cerchiamo di fare un discorso diverso, qui si cerca di mantenere la qualità così com’è, il più semplice e genuina possibile. Anche quando raccontiamo un prodotto, lo facciamo nella maniera più semplice possibile in modo tale da cercare di non creare una distanza abissale tra chi sta mangiando e il cibo.

A me piace un po’ definirla una normalizzazione della qualità. Nel concreto si tratta di andare a trovare produttori e tecniche che rispecchino questa visione, il che molto spesso vuol dire rispettare la tradizione. Questa nuova visione ha preso il via nella metà degli anni ‘90, quando ci si è accorti degli effetti negativi che la produzione su larga scala può avere su una serie di prodotti. C’è poi da dire che alcuni metodi di produzione sono rimasti sempre invariati.

In Francia ci sono molti casi di questa conservazione della tradizione: lì, ad esempio, molte maison di champagne non hanno mai usato lieviti che non fossero indigeni, ad esempio. 

Il nostro scopo è sostanzialmente tornare a far capire alle persone che il vino e il cibo si dovrebbero consumare in un certo modo, con un pizzico di consapevolezza in più. Di sicuro si tratta di un processo molto complicato, anche se veramente fondamentale.

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La territorialità e il recupero della tradizione sono quindi elementi chiave per la vostra attività. Nel concreto, come vi muovete in questo senso?

Quando si vuole realizzare il discorso di riavvicinamento senza fronzoli delle persone alla qualità del cibo è inevitabile che si debba rimanere ancorati sul territorio. Noi abbiamo scelto come riferimento il territorio italiano in generale, sia come piatti di proposta e sia come prodotti che utilizziamo. 

Diciamo che prendiamo la stragrande maggioranza dei prodotti se non dalla sola Lombardia dalle due regioni direttamente limitrofe, quindi Piemonte e Veneto, oltre che qualcosa dalla Liguria

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ristorante
cucina

Andiamo anche a cercare una serie di piccoli prodotti che valorizziamo singolarmente. Per esempio, quest’estate abbiamo proposto una cipolla da sola, la cipolla di Acquaviva delle Fonti in Puglia. L’intenzione è sempre quella di valorizzare un prodotto che venga sempre dal territorio italiano. Poi, tutto ciò che facciamo si ispira la tradizione, spesso prendendola proprio alla lettera e a volte aggiungendo qualche piccolo segno di innovazione.

Una cosa interessante è che Milano è piena di persone che non sono milanesi. Quando gli si presenta un menù in cui si trovano diverse regioni, a molti viene un po’ di nostalgia di casa. Anche perché Lagrandissima vuole proprio essere casa per chi viene. Tante volte riusciamo a dare proprio questa impressione, dato che molte persone quando vengono qua ci dicono spesso, e questo ci dà davvero tanta soddisfazione. E penso che sia per questo che la domenica le persone rimangano qua fino a tardo pomeriggio, fino alle 17 ad esempio, iniziando il pranzo a mezzogiorno. Per noi è abbastanza faticoso, ma è un aspetto molto positivo.

Com’è portare avanti un’attività? Quali sono gli scogli più difficili da superare?

Fortunatamente tra noi tre soci va molto bene, nel senso che siamo tre pensanti e che quello che pensiamo lo discutiamo apertamente. Ovviamente a volte ci si scorna, ma quando succede lo facciamo in maniera sempre costruttiva e siamo quindi sempre disposti a cambiare le nostre vedute, a modificarle, e questa è una cosa fondamentale: se si è in tre soci bisogni per forza collaborare, bisogna saper fare passi indietro. Se si riesce a fare questo lavoro ci si risolve tantissimo del lavoro. Aprire un’osteria, aprire un locale che dà da mangiare e da bere, è un lavoro veramente grande, forse più grande di quello che sono magari le soddisfazioni economiche, per lo meno per il primo periodo. 

Sicuramente questo perché di base il nostro è un lavoro pieno di costi. Noi cerchiamo di far quadrare il tutto nel migliore dei modi, tutti i dipendenti sono tutelati e cerchiamo sempre di farli essere il più possibile contenti, perché creare un ambiente di lavoro sereno è fondamentale per far funzionare bene un’attività, specialmente nella prima fase di apertura. D’altra parte, il nostro è un settore molto delicato: in poco tempo si possono arrivare a fare veramente dei danni sia per il tuo locale, sia per te stesso. Quindi sostanzialmente bisogna stare molto attenti alla gestione.

Poi, fortunatamente, noi non abbiamo avuto grosse difficoltà burocratiche.

Ovviamente ci vuole un investimento, devi avere da parte qualcosa per poter iniziare. Questo è inevitabile. Gli aspetti più difficili e complicati sono quelli di far partire dei sistemi, quindi di impostare dei metodi in modo tale che questi possano andare in automatico. Questo vale per la sicurezza del cibo o del lavoro, aspetti cruciali ma che hanno bisogno di un po’ di tempo per essere interiorizzati da tutti i componenti della squadra. 

Per il resto, noi abbiamo avuto dei consulenti che ci hanno aiutato nella messa a norma di determinate cose fondamentali. Ovviamente bisogna scegliersi collaboratori e professionisti in maniera accurata. Su alcune cose mai andare al risparmio.

Noi qui siamo in 9 a lavorare, con turni che girano. Quando ho iniziato a fare il capo avevo timore che i miei collaboratori non avrebbero avuto sufficiente attenzione a quello che dicevo per il semplice fatto che io ero più giovane di loro. In realtà, non è stato così. Siamo stati molto fortunati con la squadra iniziale, tanto è vero che quell’attuale è rimasta quasi la stessa. Abbiamo trovato persone che erano veramente super disponibili e su questo gioca anche il fatto che erano molto giovani. Questo fatto contribuisce a creare un clima molto molto disteso e sereno.

Quando ci sono delle problematiche, insomma, si vanno a risolvere. Non si creano dei conflitti inutili e sterili, ma dei conflitti proficui e stimolanti. Anzi, ci stimoliamo molto a vicenda. Questo è senza dubbio uno dei motori fondamentali di questa attività e senza questa cosa non si riuscirebbe a fare questo tipo di lavoro,

perché è un mestiere di per sé abbastanza serrato, abbastanza stressante, sia per noi tre soci sia per i dipendenti. 

Le ore di lavoro sono tante e noi cerchiamo il più possibile di mantenere almeno due giorni di pausa per ciascun dipendente. Si arriva massimo alle 40 ore e cerchiamo di mantenere questa come linea da non superare. 

Questo perché le persone hanno bisogno di uno stipendio, ma hanno bisogno anche di tempo. Penso che oggi il tempo valga molto di più di quanto possano valere 200/300 in più di stipendio.

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Quale strade seguite per promuovere l’attività? Com’è operare nel mercato milanese?

A Milano esistono diverse attività che propongono cose simili alle nostre, ma non in questa zona. Diciamo che quindi la sfida più grossa è quella di far venire qui il cliente. In più, dato che qui si beve vino, venire in macchina non è la cosa più consigliata. Allora bisogna mettere in conto anche di prendere o i mezzi o un taxi, e questo ovviamente si aggiunge al costo della cena o del pranzo 

Ovviamente tramite i social si riesce a lavorare veramente molto bene, perché nel momento in cui hai un avviamento social di un certo tipo, si muove tanta gente e questo crea anche tanto hype. Inizialmente la cosa fondamentale è proprio non deludere l’hype. Noi abbiamo avuto un boom iniziale veramente veramente forte, questo grazie ai social, alle recensioni e grazie agli influencer che sono venuti di loro spontanea volontà, senza che noi li chiamassimo, frutto del lavoro di Antonio che è stato bravo a costruirsi una clientela da PalinuroBar. Oltre a questo, anche la nostra rete universitaria ha avuto il suo ruolo perché sono persone che lavorano e vivono con il cibo, molto presenti qui a Milano. 

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Ci muoviamo così: social, eventi ed articoli. Questo crea un posizionamento sul mercato, la gente ci riconosce e nel momento in cui va a scoprire qualcosa di nuovo sui social, cerca di capire di più e viene. La sfida vera è di fidelizzare in qualche modo le persone che entrano e non deluderle. 

Sostanzialmente devi dare il massimo sul prodotto che dai. La ristorazione è molto complicata, oltre che per il discorso dei costi di cui parlavo prima, perché il nostro è un settore che anche se fai bene 10 volte, basta una volta in cui fai male e hai perso tutta la fiducia accumulata. I ristoranti sono così, bisogna sempre stare attenti e bisogna sempre, sempre, cercare di dare di dare il massimo.

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