NUOVO
ARMENIA

CINEMA, QUARTIERE E FRONTIERE

Gina nuova armenia

Local Mag vol.5

Con il quinto numero di LocalMag vi raccontiamo Nuovo Armenia (@nuovoarmenia), un’associazione che opera nel quartiere Dergano-Bovisa. Nuovo Armenia gestisce uno spazio che racchiude in sé la riqualifica di un’area abbandonata e un esperimento di contatto culturale, tramite una proposta cinematografica peculiare.

Gina, la presidente dell’associazione, ci ha raccontato la genesi dell’iniziativa, le attività che lei e i volontari propongono e i progetti che hanno in cantiere.

Come e quando è nato il progetto Nuovo Armenia? Da dove prende il nome e quali erano i vostri obiettivi iniziali?

 

Il progetto Nuovo Armenia nasce attorno al 2015. Cercavamo uno spazio nel nostro quartiere, il Dergano-Bovisa, per aprire un cinema. Noi avevamo molto chiaro in mente quello che mancava e quello che serviva per ragionare in maniera lenta e coinvolgente su certi temi per noi fondamentali ma che vengono trattati in maniera sempre molto polarizzata nel dibattito pubblico. 

Il nostro focus verteva infatti sulle migrazioni. Considerate che questo è il secondo quartiere a Milano in termine di presenza di persone straniere, con un grande numero di persone che vengono dal mondo arabo e dal Sud America. Ci siamo detti: attraverso una sala che proietti film delle aree di provenienza delle persone straniere residenti potremmo incominciare a ragionare sulle dinamiche di radicamento e sradicamento, sul perché si lasciano i propri Paesi, su come si arriva qui, su cosa succede nel viaggio. Questo il progetto iniziale. 

Noi avevamo una piccola storia di produzione e distribuzione cinematografica con un film che ci aveva portati anche a Venezia e in tanti festival in giro per il mondo, “Io sto con la sposa”.

Attraverso questo documentario, che, anche attraverso delle azioni illegali, rompeva materialmente le frontiere, siamo riusciti a ragionare e a parlare di che cos’è un confine, cos’è il diritto al viaggio. Eravamo andati dappertutto: scuole, biblioteche, centri sociali, cinema in Italia e in tutto il mondo. Tornati da questa esperienza, ci siamo detti: fondiamo una sala cinematografica e torniamo da dove tutto questo è partito. In quel periodo, il Comune di Milano metteva a bando questo spazio, che aveva avuto vari usi pubblici ed era poi caduto in disuso.

All’epoca era completamente abbandonato e degradato. Scriviamo quindi un progetto, che avevamo ben chiaro in testa: collaborare anche con un’associazione che si chiama Masnada, costruendo qui una scuola di italiano come seconda lingua, lavorare su progetti di pedagogia attiva, coinvolgere i bambini, coinvolgere le famiglie, essere un centro riconosciuto nel quartiere dove avviare pratiche di approfondimento culturale, lavorare con giornalisti indipendenti. Dopo aver scritto il progetto, vinciamo l’assegnazione dello spazio. Da lì, comincia  l’avventura.

Ci chiamiamo Nuovo Armenia Films perché il nostro quartiere, il Dergano-Bovisa, è la culla dell’industria cinematografica italiana. Agli inizi del ‘900, a un paio di vie di distanza da qui, c’erano la Milano Films e la Comerio Films, con 10.000 m² di studi di posa a luce naturale che servirono anche come capannoni per la produzione delle scenografie per la Scala. All’interno di questi capannoni c’era una piccola ditta di produzione e distribuzione di pellicole, l’Armenia Films, di proprietà di un facoltoso armeno, Johannes Zilelian. Con l’avvento del fascismo tutta l’industria cinematografica viene trasferita a Roma, a Cinecittà, e tutta questa esperienza di intensa attività cade in declino. 

Siccome noi lavoriamo sul cinema, siccome il nostro focus sono le migrazioni ed i viaggi, ci era molto piaciuta la storia di questo armeno che, negli anni in cui il suo popolo subiva un atroce genocidio, lavorava proprio per raccontarne la storia, producendo delle pellicole con il fine di mostrare le tradizioni del suo Paese. Ci siamo quindi detti: diamo il nostro omaggio alla storia del quartiere e chiamiamo il nostro cinema “Nuovo Armenia”.

Nuovo Armenia è uno spazio che si offre come palcoscenico del cinema di Africa, America Latina ed Asia. Qual è l’importanza di queste tradizioni cinematografiche? Perché vedere un film che viene da questi continenti?

 

I film che arrivano da Asia, Africa ed America Latina costituiscono la gran parte della nostra programmazione. Guardiamo però anche all’Europa, dato che è un continente al centro dei processi migratori.

A partire dal cinema, la nostra idea è di costruire una programmazione che ci faccia guardare al cinema del mondo che non trova spazio di distribuzione se non all’interno di circuiti festivalieri ad hoc.

Il nostro immaginario è colonizzato dalla filmografia hollywoodiana, al punto che non riusciamo a raffigurarci altri mondi possibili. Questo perché il cinema fa tanto: la gran parte delle produzioni televisive e della distribuzione cinematografica deve molto al grande cinema hollywoodiano. Non si può però pensare al mondo senza immaginari alternativi. Il mio discorso non vuole tanto essere una critica alla produzione americana, il cui valore è assoluto, quanto una riflessione sulla mancanza di spazio che altre scuole cinematografiche soffrono. Il nostro modo di pensare al cinema è la nostra battaglia di resistenza, con l’obiettivo di offrire nuovi sguardi e prospettive. Che cosa racconta l’Egitto? Come ce lo immaginiamo? Come immaginiamo il Perù? Purtroppo troppo spesso sono degli stereotipi a rispondere a queste domande. La produzione cinematografica del resto del mondo, e parlando di Africa, Asia e America Latina si parla della maggior parte del mondo, ha delle dimensioni e una qualità che sono inimmaginabili per troppe persone.

La sola Nollywood, l’industria cinematografica nigeriana, ha un volume di produzione pazzesco, con centinaia di film che escono al giorno e una distribuzione che copre l’intero continente africano. 

L’Africa in generale esprime un cinema giovane, vivo e pieno di contraddizioni: qui al Nuovo Armenia abbiamo riprodotto un film kenyota molto interessante, Rafiki, che racconta una storia di due ragazze che si innamorano, che ha avuto una vita distributiva difficilissima in Africa e ha trovato alcuni canali distributivi qui in Europa. Finalmente si può vedere la gioventù kenyota raccontata da kenyoti, lontana dalle rappresentazioni distorte da Paese africano straccione e disperato. Il continente sta vivendo un vero e proprio boom culturale: l’industria musicale africana è in continua evoluzione, hanno del teatro innovativo e una moda che sta compiendo dei salti pazzeschi reinterpretando stili e linee. 

Nuovo Armenia propone un nuovo punto di vista che realizzi un immaginario alternativo, proiezione dopo proiezione. Non è un’operazione semplice. Questo è il terzo anno di programmazione continuativa (prima avevamo proiezioni che andavano nelle corti, cosa che continua ma in misura leggermente minore): al primo anno avevamo veramente poco pubblico, al secondo i film più di richiamo riuscivano ad attrarre spettatori, adesso con un bel catalogo e grazie anche ad una media partnership con Radio Popolare e ad un collegamento con il festival del cinema africano, dell’Asia e dell’Africa di Milano vediamo dei buonissimi riscontri in sala.

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spazi comuni
bandierine

Ci hanno molto colpiti le vostre iniziative che puntano ad avvicinare le generazioni più giovani al vostro spazio ed al mondo del cinema. Da dove viene l’idea? Come la realizzate in concreto?

 

Noi abitiamo qui nel quartiere. Quando abbiamo incominciato la ristrutturazione dello spazio, abbiamo aperto le porte alle famiglie per poter metter mano alla trasformazione dell’area. Sono quindi arrivati anche tantissimi bambini. Oltre che a darci una mano materialmente, assieme a loro abbiamo incominciato a pensare a soluzioni creative per affrontare il totale disastro che avevamo intorno all’inizio. Osservando il loro modo di lavorare, abbiamo avuto l’idea di creare uno spazio di progettazione dedicato ai più piccoli. Questo perché loro hanno idee ben precise su quello che è giusto e sbagliato, e sono spesso idee che rimangono fuori dagli schemi dei più adulti. E il nostro compito è quello di fornire gli strumenti per favorire una progettazione efficace. Il progetto si chiama “Ci vuole un fiore”. Parte dall’osservazione di quello che abbiamo nel nostro giardino e capiamo poi insieme come poter imparare dalla natura che abbiamo intorno a fare le cose. A novembre terremo qui una mostra che racconta l’evoluzione dello spazio e del suo rapporto con il quartiere e la penseremo insieme ai piccoli, che si occuperanno anche di spiegare quello che mostreremo.

Per avvicinare i più piccoli al mondo del cinema, il venerdì abbiamo una serata, il Cinema dei Piccoli appunto, che non è solo da una proiezione ma è un cineforum vero e proprio. 

Prima del film c’è sempre una riflessione sulla provenienza del film, se cioè è tratto da un libro o se nasce per essere pellicola, per far comprendere che i film non nascano magicamente e quanto siano importanti le tecniche di realizzazione delle pellicole. Dopo che abbiamo guardato il film, i bambini rimangono e si parla delle loro impressioni sul film, di cosa avrebbero fatto al posto del protagonista e di cosa sia piaciuto. Riescono così ad apprendere cosa siano le parti costitutive di un film, come ad esempio la sceneggiatura, e, quando il film è tratto da un libro, ne leggiamo assieme dei pezzi. Andiamo anche nei doposcuola del quartiere per preparare insieme la presentazione dei film. 

Lavoriamo soprattutto con bambini dai 5 ai 10 anni, anche se a volte riusciamo anche a mettere assieme adolescenti delle medie con i bambini delle elementari, facendo in modo che siano gli adolescenti a dare una mano ai più piccoli. Vogliamo anche cominciare ad impostare una progettualità più approfondita per lavorare con gli adolescenti. Infatti, a Milano ci sono tantissime iniziative che coinvolgono i bambini ma in generale manca la stessa offerta per chi è un po’ più grande. Lo sforzo dovrebbe essere quello non tanto di proporre iniziative pensate per gli adolescenti, ma proporre qualcosa che sia ideato assieme a loro. Bisogna essere quindi strumento per i ragazzi, dato che loro hanno tutto tranne che lo spazio, liberandoci dal giudizio che troppe volte li condanna a priori.

Oltre al mondo del cinema, Nuovo Armenia fornisce vari altri servizi, tra i quali la ristorazione ed eventi musicali. Questa versatilità era fin dall’inizio parte integrante del progetto?

 

La nostra associazione ha alcuni filoni principali che si intersecano tra loro, prendendo linfa vitale l’uno dall’altro, e sono: l’attività commerciale, con bar e cucina, il cinema e le attività sociali. Queste tre direttive sono fondamentali, perché Nuovo Armenia non esisterebbe senza una di queste tre componenti. Importante è sottolineare che fin dalla stesura iniziale del progetto avevamo chiare in mente queste tre aree, col fine di ottenere una sostenibilità economica per le nostre attività future e perché la programmazione costa molto. Per mettere in pratica tutto ciò, serve un contenitore, che è lo spazio che vedete attorno a voi (e che chi legge vede nelle immagini dell’articolo). Anche per effetto delle relazioni che andiamo costruendo, Nuovo Armenia cambia forma, sia in base a quello che ci serve sia alle energie che riusciamo a concentrare: ci servono delle sale per fare il doposcuola dei bambini del quartiere, delle sale per fare dei laboratori coi bambini non solo d’estate ma anche di inverno, una grande sala polivalente che serva per il ristorante ma che all’evenienza possa fare anche da sala cinema. Come vi dicevo, abbiamo trovato la nostra struttura in uno stato di completo abbandono. Dove possibile, abbiamo sistemato in autoproduzione e dove no, ci siamo appoggiati a dei professionisti. La cosa che ovviamente ci serve di più sono i fondi per poter andare avanti con i progetti. Quando delle risorse entrano dalla parte commerciale, esse vengono utilizzate, al netto del rimborso spese dei dipendenti (dato che nessuno dell’associazione ancora percepisce uno stipendio, siamo quindi ancora sotto forma di volontari ed attivisti culturali), per investire nel miglioramento degli spazi. Per il futuro vorremmo anche creare una rete con realtà simili a noi, in Italia ma non solo. Dalla Sicilia all’Appennino, passando per l’Alta Irpinia, ci sono tantissimi esperimenti che vanno dall’unione del cinema col tema delle migrazioni, oppure di festival che giovani, stanchi di una vita da sottopagati nelle grandi città, hanno deciso di fondare e promuovere.

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Qual è il rapporto tra il processo di riqualificazione che state portando avanti ed il quartiere?

Non si può parlare di rigenerazione senza uno sguardo al cambiamento più ampio, perché il nostro lavoro non può essere slegato dal resto della vita del quartiere. Bisogna anche prendere in considerazione il fatto che questo è un quartiere che sta vivendo un processo diffuso di riqualificazione che, in realtà, è pura speculazione edilizia. Questa periferia è stata interessata da diversi esperimenti che puntavano al cambiamento della sua conformazione, ad esempio tramite l’utilizzo delle piazze tattiche. Tramite questo, il Comune ha potuto cominciare la co-progettazione degli spazi pubblici con gli abitanti del quartiere. Insieme a questi esperimenti virtuosi di ri-immaginazione degli spazi comuni, è arrivato anche però un cambiamento edilizio molto forte, il che è risultato in un notevole aumento degli affitti e dei costi delle case. Le fasce della popolazione più fragili sono ovviamente le più colpite da questo fenomeno. Anche grazie al lavoro delle associazioni, cambiano in meglio i quartieri. Tante volte veniamo anche accusati del fatto che il nostro lavoro causi gentrification a causa del conseguente aumento di proposte culturali che si rivolgono al quartiere. Secondo noi queste sono posizioni assurde: noi facciamo la nostra parte, riqualificando attraverso il nostro lavoro, fenomeni di così grande importanza e di largo respiro sono legati alla visione e al tipo di città che la politica ha in mente. Ovviamente le soluzioni possono essere trovate insieme.  In questo momento, noi abbiamo una struttura agibile, che all’interno può ospitare varie attività associative e all’esterno una programmazione che dura svariati mesi. Questo non è sempre stato scontato, dato che siamo stati a volte sul punto di non farcela.

A fine stagione, coperte le spese, investiamo per migliorare lo spazio che, lo ricordo, è pubblico ed alla fine della nostra concessione trentennale tornerà a disposizione del Comune. L’area non è vincolata dalla Soprintendenza, quindi rispetto alla riqualificazione abbiamo più o meno carta bianca. Anticamente qui c’erano le stalle di una villa che ora è sede del Municipio 9, poi sono state usate dal Comune per vari uffici. In seguito, è stata dismessa e per una quindicina d’anni ha vissuto in uno stato di completo abbandono. L’obiettivo nostro è di mantenerne le caratteristiche: è una stalla di fine ‘800 e non vogliamo snaturarla rendendola una struttura avveniristica. La riqualificazione non sarà impattante, l’idea è di trovare i fondi per ampliare la zona della ristorazione e fare una sala polivalente per ospitare altre cose oltre che il ristorante. Stiamo anche rafforzando le nostre competenze, tanto imprenditoriali che finanziarie, tant’è vero che quest’anno abbiamo anche aperto il nostro primo debito, assumendoci un rischio puntando sulla stagione estiva, verso un istituto bancario per poter avviare l’attività in una maniera dignitosa e regolamentare, mettendo a posto fognature e rinnovando le cucine. 

Il Comune ogni anno ci richiede di stilare un documento molto preciso in cui noi dichiariamo le nostre entrate e le nostre uscite, le nostre attività, gli obiettivi che siamo riusciti a raggiungere e molto altro . Onestamente, ci saremmo aspettati un maggior coinvolgimento e forse una migliore attitudine da parte delle istituzioni pubbliche, per il semplice fatto che noi abbiamo in gestione per 30 anni uno spazio che tornerà al pubblico ed è dunque totalmente nei loro interessi che qui si faccia un lavoro preciso e funzionale.

discutendo di importanti temi
divertimento
il ristorante

A che punto siete con il coinvolgimento delle comunità straniere? Cosa avete capito in questi tre anni?

 

Il nostro obiettivo principale era quello di avvicinare le comunità straniere a noi attraverso la proiezione di film che vengono dai loro Paesi di origine. Con il tempo, abbiamo capito che non c’era grande interesse da parte loro, principalmente perché la loro vita culturale è vivacissima e si svolge molto spesso lontano dai nostri occhi. Srilankesi e indiani affittano sale cinematografiche per la domenica e hanno loro agenti che guardano i loro film, secondo loro canoni estetici e gusti. Quindi, la domanda per film che vengano dai Paesi di provenienza è già ampiamente soddisfatta all’interno delle comunità. Casi di successi sono stati quelli nei quali abbiamo invitato le comunità ad usufruire della nostra struttura, lasciando a loro la completa organizzazione dell’evento. Per la Festa dell’Indipendenza del Perù abbiamo ottenuto un gran successo. Abbiamo dato completa carta bianca, lasciando il palinsesto e l’organizzazione della festa a loro. Il risultato è stata una celebrazione tale e quale ad una che avverrebbe in Perù, con una rassegna di tutte le danze tipiche delle varie zone del Paese che è andata avanti per otto ore. 

Quando restituiremo la cascina al Comune di Milano, non la restituiremo solamente con un aspetto migliorato e come struttura che è stata rimessa in vita, ma come parte di un processo che ha accresciuto competenze e legami della comunità che ci gravita attorno. Il nostro è sostanzialmente un grande investimento sul futuro.

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